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Impianti FER: aree idonee (e non idonee). continua il “tira e molla” Stato-Regioni.

In attesa che Stato e Regioni diano piena attuazione al disposto dell’art. 20 del D. Lgs. 199 del 2021, con la sentenza n. 27 del 2023, la Corte Costituzionale ha avuto modo di esprimersi sulla questione delle aree idonee all’istallazione di impianti rinnovabili, dichiarando incostituzionali due norme contenute in altrettante leggi approvate dalla Regione Abruzzo.

La sentenza in commento risulta di particolare interesse, in un momento storico caratterizzato dalla centralità della materia energetica nel dibattito pubblico, poiché conferma alcune direttive interpretative utili a dare ordine al complesso normativo che regola il mondo delle energie rinnovabili, invero caratterizzato, nonostante i recenti intenti semplificatori (e a volte, paradossalmente, proprio a causa di questi), da numerose opacità e da elevata frammentarietà. 

Nel caso di specie si trattava di due leggi, emanate rispettivamente a gennaio 2022 e a marzo 2022 che apportavano rilevanti modifiche all’art. 4 della Legge Regionale 8/2021.

Più nel dettaglio, l’art. 16 della legge n. 1 dell’11 gennaio 2022, emanata dalla Regione Abruzzo, prorogava di 6 mesi, dal 31 dicembre 2021 al 30 giugno 2022, il termine entro il quale la Regione avrebbe potuto individuare le aree e i siti idonei all’istallazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili. Nelle more dell’individuazione delle aree idonee risultavano in ogni caso sospesi i procedimenti pendenti per l’autorizzazione di impianti di produzione di energia elettrica derivanti da fonti rinnovabili. 

L’art. 19 della legge n. 5 dell’11 marzo 2022, sempre emanata dalla Regione Abruzzo, consentiva invece ai Comuni di individuare, con deliberazione del Consiglio Comunale, le zone del territorio comunale inidonee all’istallazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili in aree agricole di particolare pregio paesaggistico culturale oppure caratterizzate da produzioni agro-alimentari di qualità. Tale norma attribuiva dunque un potere ai Comuni di dichiarare la assoluta inidoneità di alcune zone all’installazione di impianti FER.

La Corte ha ritenuto che l’art. 16 della citata legge, sospendendo i procedimenti autorizzatori degli impianti FER, confliggesse tanto con la previsione di un termine massimo entro il quale concludere il procedimento unico (ai sensi dell’art. 12 del d. lgs. 387 del 2003), quanto con il divieto di prevedere moratorie ovvero sospensioni dei procedimenti di autorizzazione (ai sensi dell’art. 20 del d. lgs. 199 del 2021) ma, soprattutto, con l’art. 117, primo e terzo comma della Costituzione, in relazione ai principi espressi nelle direttive 2018/2001 UE, 2001/77/CE e 2009/28/CE, laddove la legge regionale si poneva in contrasto con gli impegni assunti dallo Stato italiano nei confronti dell’Unione Europea e della comunità internazionale tutta di perseguire l’obiettivo della massima diffusione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili.  

Parimenti, l’art. 19 è stato dichiarato incostituzionale in quanto, ad avviso della Corte, la norma regionale, nell’attribuire ai Comuni un potere di dichiarare alcune aree come non idonee, creava di fatto un limite assoluto alla facoltà di autorizzare detti impianti nelle aree indicate non idonee. Tale previsione si sarebbe dunque posta in contrasto con la prospettiva statale che, mira, viceversa, laddove vengono indicati siti non idonei, ad imprimere un’accelerazione, sostanziando una “valutazione di primo livello” che si limita a suggerire un probabile esito negativo della procedura autorizzatoria, senza tuttavia creare preclusioni assolute che inibiscano l’accertamento in concreto da effettuarsi in sede autorizzativa. Questo principio enunciato dalla Corte non è, in realtà, un enunciato particolarmente innovativo, in quanto già in passato il giudice costituzionale aveva avuto modo di puntualizzarlo in numerose pronunce che avevano ad oggetto comunque atti legislativi regionali (ex multis: sentenze n. 216 e 77 del 2022, n. 177 del 2021, n. 106 del 2020, n. 286 del 2019)

Inoltre, la Corte – pur non negando aprioristicamente un coinvolgimento dei comuni nella definizione degli atti di programmazione sulle aree inidonee – ribadisce che l’art. 12, comma 10, del d. lgs. 387 del 2003 è chiaro nell’attribuire il compito di individuare tali aree alle regioni, che devono al fine predisporre un’apposita istruttoria. Difatti, solo le regioni e le province autonome si trovano nella condizione di poter conciliare le politiche di tutela dell’ambiente e del paesaggio con quelle di sviluppo e valorizzazione delle energie rinnovabili, anche in considerazione della quota minima annua di produzione di energia da fonti rinnovabili loro assegnata. 

A tale conclusione è giunto, recentemente, anche il TAR Palermo (sentenza n. 299 del 2023) che, pronunciandosi su un caso analogo, ha riscontrato il difetto assoluto di potere del comune in ordine all’individuazione delle aree idonee e non idonee all’installazione di specifici tipi di impianti fotovoltaici. 

Alla luce di tali autorevoli pronunce appare chiaro, qualora ancora vi fossero dubbi, che solo le Regioni sono abilitate a definire gli atti di programmazione che concernano aree idonee o non idonee, risultando censurabili, di conseguenza, interventi isolati e scomposti, in senso opposto, da parte dei comuni. 

Al clima di incertezza normativa ha inoltre contribuito la totale inerzia dei Ministeri competenti che, ancora allo stato attuale, non hanno adottato i decreti che stabiliscono in modo chiaro ed univoco i criteri e i principi per l’individuazione delle aree idonee all’installazione della potenza eolica e fotovoltaica indicata nel Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) cui devono conformarsi le regioni nell’attività legislativa di individuazione delle aree idonee.  

D’altronde, occorre altresì considerare che la materia “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” è definita, ai sensi dell’art. 117, co. 3 della Costituzione, come materia concorrente tra Stato e Regioni: pur spettando alla legislazione dello Stato la determinazione dei principi fondamentali, sono infatti le Regioni a dover dettare la disciplina nella materia, senza alcuno spazio di delega in favore dei comuni. 

Questa impostazione appare del tutto condivisibile se si considerano gli impegni assunti dallo Stato italiano in sede europea e in occasione di consessi internazionali volti a perseguire l’obiettivo della massima diffusione degli impianti alimentati da fonti di energia rinnovabili, onde contrastare il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici. Ogni tentativo di rendere più gravose le procedure autorizzatorie nonché di sospendere o limitare il rilascio delle stesse autorizzazioni deve pertanto essere censurato.

La via dettata dalla Corte Costituzionale appare dunque chiara: il perseguimento della transizione energetica del nostro Paese non può e non deve essere ostacolato da un moltiplicarsi di normative emanate da regioni e province autonome in modo frammentario e poco coerente con il fine. 

Il cambio di rotta in ambito energetico non può dunque, in definitiva, prescindere dal superamento di questo agire politico-amministrativo da parte delle Regioni, che assume sempre più i connotati delle cosiddette sindromi NIMBY e NIMTO (n.d.r.: Not In My Back Yard e Not In My Terms of Office); dando, infatti, ai comuni la facoltà di individuare aree inidonee (rectius: di impedire la costruzione di nuovi impianti FER), le amministrazioni regionali evitano così di assumersi la responsabilità politica di scelte indubbiamente divisive, finendo però per vanificare l’intento innovativo del legislatore nazionale in tema, proprio, di definizione di aree idonee. 

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Autori di questa nota sono l’avv. Massimo Colicchia, la dott.ssa Maria Consolata Bianchini e Samuele Fiorini. 

Per maggiori informazioni o chiarimenti sui temi trattati in questo articolo si prega di contattare l’avv. Massimo Colicchia: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

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