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Impianti eolici e misure compensative ambientali, la recente decisione della Corte Costituzionale.

Con la recente sentenza n. 46 del 23 marzo 2021 la Corte Costituzionale è intervenuta sullo spinoso problema delle convenzioni comunali che impongono misure compensative agli operatori esercenti impianti alimentati da FER, sancendo la costituzionalità dell’art. 1, comma 953, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (“Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021”) messa in dubbio dal Consiglio di Stato, nel corso del 2020, con quattro diverse ordinanze di rimessione.

Rimane confermato, quindi, il quadro delineato da tale disposizione secondo cui le convenzioni stipulate prima dell’entrata in vigore delle Linee Guida di cui al DM 10 settembre 2010 mantengono la loro efficacia, ma devono essere riviste alla luce dei criteri previsti dall’Allegato 2 delle stesse Linee Guida. 

La norma censurata dal giudice a quo prescrive che: “Ferma restando la natura giuridica di libera attività d’impresa dell’attività di produzione, importazione, esportazione, acquisto e vendita di energia elettrica, i proventi economici liberamente pattuiti dagli operatori del settore con gli enti locali, nel cui territorio insistono impianti alimentati da fonti rinnovabili, sulla base di accordi bilaterali sottoscritti prima del 3 ottobre 2010, data di entrata in vigore delle linee guida nazionali in materia, restano acquisiti nei bilanci degli enti locali, mantenendo detti accordi piena efficacia. Dalla data di entrata in vigore della presente legge, fatta salva la libertà negoziale delle parti, gli accordi medesimi sono rivisti alla luce del decreto del Ministro dello sviluppo economico 10 settembre 2010, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 219 del 18 settembre 2010, e segnatamente dei criteri contenuti nell’allegato 2 al medesimo decreto. Gli importi già erogati e da erogare in favore degli enti locali concorrono alla formazione del reddito d’impresa del titolare dell’impianto alimentato da fonti rinnovabili”.

Prima di poter approfondire gli elementi di costituzionalità della norma occorre però procedere in ordine cronologico, ricordando che i diversi giudizi di merito all’origine della questione di legittimità, separatamente promossi prima avanti al TAR Puglia e poi in grado d’appello al Consiglio di Stato, riguardavano la validità di altrettante convenzioni stipulate ex art. 1, comma 5, l. n. 239 del 2004 fra operatori privati del settore delle energie rinnovabili e gli enti locali nel cui territorio sarebbero sorti gli impianti eolici.

Le convenzioni censurate erano di molto precedenti alla norma oggetto del giudizio di costituzionalità, che sarebbe quindi inquadrabile come ius superveniens, così come sono successive le linee guida del D.M. del 2010 di cui si dirà. Infatti, al tempo della stipula delle convenzioni, il quadro normativo era sostanzialmente delineato da due previsioni. 

Da un alto, l’art. 1, comma 5, della legge n. 239 del 2004, secondo cui “le regioni e gli enti locali territorialmente interessati dalla localizzazione di nuove infrastrutture energetiche ovvero dal potenziamento o trasformazione di infrastrutture esistenti hanno diritto di stipulare accordi con i soggetti proponenti che individuino misure di compensazione e riequilibrio ambientale, coerenti con gli obiettivi generali di politica energetica nazionale, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387”

Dall’altro lato, la norma da ultimo citata il cui comma 6 aveva previsto, perentoriamente, che l’autorizzazione unica per la costruzione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili non potesse “essere subordinata né prevedere misure di compensazione a favore delle regioni e delle province”

La prassi, in continuità con quanto in uso nel sistema previgente il varo del d.lgs. 387 del 2003 (quando gli enti territoriali si arrogavano una sorta di potestà concessoria, imponendo vere e proprie royalties, neppure giustificate da reali esigenze compensative) giustificata dalla palese contraddittorietà delle due norme – e comunque dal sostanziale avallo di tale “consuetudine” da parte della disposizione prima richiamata di cui alla legge n. 239/2004 – aveva visto l’inserimento, nelle convenzioni con i Comuni, di clausole che richiedevano agli operatori la corresponsione agli enti locali di compensazioni patrimoniali giustificate dal mero insediamento degli impianti.

Si rammenta che il concetto di “compensazioni patrimoniali” (diverse dalle compensazioni tout court) definisce quegli obblighi in capo agli operatori dovuti per la sola esistenza dell’impianto, quindi slegati dalla presenza di un qualsiasi effetto deteriore che l’impianto possa provocare sul territorio, “tenuto anche conto che, secondo l’ordinamento comunitario e quello nazionale, la costruzione e l’esercizio di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili sono libere attività d’impresa soggette alla sola autorizzazione amministrativa della Regione” (Corte Costituzionale, sentenza n. 119 del 2010).

Tant’è che, in ragione delle finalità di interesse generale che guidano gli interventi in materia di fonti di energia rinnovabili, il 10 settembre 2010 si giungeva all’approvazione di un Decreto Ministeriale, in vigore dal 3 ottobre 2010, recante “Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili”, dove al punto 14.15 dell’Allegato si prevedeva che “Le amministrazioni competenti determinano in sede di riunione di conferenza di servizi eventuali misure di compensazione a favore dei Comuni, di carattere ambientale e territoriale e non meramente patrimoniali o economiche, in conformità ai criteri di cui all’allegato 2 delle presenti linee guida”.

Sulla scorta di tali linee guida si erano articolati i giudizi di merito sulla validità delle convenzioni.

Solo successivamente, come anticipato, in pendenza dei giudizi avanti il Consiglio di Stato, veniva introdotto nell’ordinamento l’art. 1, comma 953 della l. n. 145/2018, che “cristallizzava”, con apparente effetto sanante retroattivo (elemento centrale nei motivi di rimessione), l’efficacia degli accordi bilaterali sottoscritti prima dell’entrata in vigore del D.M. del 10 settembre 2010, e che per questo motivo veniva portato all’attenzione del giudice delle leggi.

Per semplicità redazionale e per una maggiore fruibilità ci limitiamo a esporre di seguito, in forma sintetica, i singoli motivi delle questioni ritenute ammissibili dalla Corte, e i principi in base ai quali i giudici le hanno poi dichiarate infondate.

1. Violazione del canone di ragionevolezza in riferimento all’art. 3 della Costituzione

Secondo l’ordinanza di rimessione la disciplina regolamentare sopraggiunta con D.M. nel 2010 avrebbe creato uno spartiacque temporale fra le convenzioni già stipulate e quelle ancora da stipulare, ponendo in una situazione di squilibrio i diversi operatori che, nel primo caso, avevano dovuto pagare oneri compensativi, e nel secondo caso sarebbero stati esenti. Conseguentemente la norma del 2018 oggetto della presente analisi avrebbe cristallizzato tale squilibrio rendendo impossibile un giudizio sull’efficacia ex tunc delle convenzioni.

La Corte Costituzionale motiva l’infondatezza della questione rilevando che il canone di ragionevolezza risulta assolto dalla norma poiché essa favorisce il “riallineamento” fra le situazioni precedenti al D.M. del 2010 e le successive, chiarendo che tutte le norme convergono complessivamente verso l’obiettivo, perseguito dal legislatore, “a un tempo di garantire la concorrenza, riallineando le condizioni degli operatori del settore, quanto all’onere delle misure compensative e di riequilibrio ambientale, e altresì di promuovere la tutela dell’ambiente e del paesaggio”; in questo quadro non pare irragionevole che una norma successiva operi “in chiave confermativa di una disciplina diacronicamente differenziata, che fa perno sullo spartiacque temporale del 3 ottobre 2010, quanto alle «misure di compensazione e riequilibrio ambientale»”.

2. Violazione del diritto di agire in giudizio in riferimento all’art. 24 della Costituzione

Il giudice a quo denunciava la limitazione posta dalla norma al diritto di agire per dichiarare l’invalidità delle convenzioni. I giudici costituzionali chiariscono che “la garanzia del diritto di azione in giudizio costituisce un posterius rispetto alla sussistenza del diritto sul piano sostanziale; e non può dirsi violato in ragione della portata, più o meno favorevole, della disciplina sostanziale”.

3. Violazione dei principi di separazione dei poteri e del giusto processo

Secondo il Consiglio di Stato la norma avrebbe oltrepassato i limiti del potere legislativo, avendo il solo fine di determinare l’esito di un procedimento giudiziario in termini favorevoli allo Stato. 

Tuttavia, rileva la Consulta, nel caso di specie l’intento del legislatore era quello di tutelare il mercato e l’ambiente con un intervento chiarificatore sul rapporto fra il contesto normativo precedente e quello successivo al 3 ottobre 2010. Si tenga conto inoltre che, fermo restando il divieto di retroattività in materia penale, il legislatore “può emanare norme retroattive, anche di interpretazione autentica, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti ‘motivi imperativi di interesse generale’, ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”. Sotto questo profilo la norma censurata trova congrua giustificazione nella finalità di tutelare il mercato e l’ambiente senza mettere a rischio la tenuta dei bilanci dei Comuni.

4. Violazione del diritto di proprietà in riferimento all’art. 117 della Costituzione in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU

Il giudice a quo paventa la violazione del diritto di proprietà degli operatori, poiché in vigenza della norma censurata sarebbe loro impedito di soddisfare il loro diritto di credito con riguardo agli oneri corrisposti.

La Corte Costituzionale, pur ammettendo che l’interpretazione CEDU del diritto di proprietà si possa estendere anche ai diritti di credito, afferma che un tale diritto sia tutelabile in presenza di una solida base legale, che al tempo della stipula delle convenzioni mancava.

Così argomentando i giudici costituzionali hanno dichiarato infondate le questioni di legittimità. Ci si augura che questa pronuncia porti finalmente chiarezza su un tema sinora caratterizzato da molta incertezza.

5. Le recenti novità normative in materia di FER

In conclusione, in un’ottica puramente informativa, ci sembra opportuno ricordare che il quadro normativo in materia di fonti rinnovabili si è ampliato notevolmente negli ultimi anni; limitandoci agli interventi successivi alla sentenza in commento, si ricorda che in data 31 maggio 2021 è stato pubblicato il D.L. n. 77/2021 (Decreto Semplificazioni Bis), il cui Capo VI è dedicato all’accelerazione delle procedure per le fonti rinnovabili; e che in data 7 giugno 2021 è stata pubblicata sul Bollettino Ufficiale Regione Lombardia (BURL) la Delibera di Giunta Regionale 31 maggio 2021 – n. XI/4803, recante “Approvazione delle nuove linee guida regionali per l’autorizzazione degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili (FER) a seguito degli aggiornamenti della normativa nazionale in materia”. Per quanto di interesse in questa sede, la Parte IX della D.G.R. si conforma ai menzionati ragionamenti dei giudici della Corte Costituzionale specificando i limiti alle compensazioni ambientali che possono essere richieste agli operatori ai sensi del D.M. del 10 settembre 2010, affermando che “gli impatti negativi [devono] essere prioritariamente mitigati e che le compensazioni, quindi, debbano essere relative ad impatti non evitabili o mitigabili”.

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Autori di questa nota sono l’avv. Massimo Colicchia e il dott. Filippo Socini.

Per maggiori informazioni o chiarimenti sui temi trattati in questo articolo si prega di contattare l’avv. Massimo Colicchia presso lo Studio o per email a seguente indirizzo: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

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