Il Consiglio di Stato, Sezione VI, con le sentenze nn. 2307, 2308 e 2309 del 2021, ha confermato l’annullamento delle sanzioni irrogate dall’Autorità di Regolazione per l’Energia, le Reti e l’Ambiente, ARERA, nei confronti di un gruppo societario – assistito dal nostro Studio – operante nel settore del gas naturale per asserite violazioni in materia di unbundling funzionale e contabile, rilevando che i termini di conclusione del procedimento sanzionatorio – che nel caso di specie erano stati violati da parte dell’Autorità – debbano considerarsi di natura perentoria a prescindere da una espressa previsione di legge in tal senso.
Nel caso di specie, il contenzioso aveva ad oggetto un procedimento sanzionatorio avviato da ARERA nei confronti di un Gruppo societario nel dicembre 2011, il cui provvedimento finale è stato adottato soltanto sei anni dopo, nel mese di febbraio del 2017, in violazione dei termini di conclusione del procedimento stabiliti dalla medesima Autorità. Con tali pronunce, la Sesta Sezione del Consiglio di Stato – cui è interamente affidato il contenzioso sui procedimenti sanzionatori dell’ARERA – ha finalmente allineato la propria giurisprudenza a quella relativa ai procedimenti sanzionatori delle altre Autorità amministrative indipendenti (Banca d’Italia, ANAC, IVASS, AGCOM), superando così il conflitto venutosi a creare in giurisprudenza fra “due orientamenti interpretativi di segno palesemente opposto” sulla natura del termine per l’adozione del provvedimento sanzionatorio finale. Invero, secondo il tradizionale orientamento giurisprudenziale, il termine di conclusione del procedimento sanzionatorio, ove non diversamente previsto dalla legge, avrebbe carattere meramente ordinatorio e, pertanto, il provvedimento intervenuto in ritardo non sarebbe mai illegittimo, purché comunque adottato nel termine prescrizionale di cinque anni previsto dall’articolo 28 l. n. 689/1981 (Cfr. ex multis, Consiglio di Stato sez. VI – n. 911 del 2018).
Negli ultimi anni si è però consolidato un orientamento giurisprudenziale di segno opposto secondo cui, in materia di procedimenti sanzionatori delle Autorità amministrative indipendenti – in ragione del noto deficit di legittimazione democratica che le connota – il termine fissato per l’adozione del provvedimento finale avrebbe natura perentoria “a prescindere da una espressa qualificazione in tal senso nella legge o nel regolamento che lo preveda, attesa la stretta correlazione sussistente tra il rispetto di quel termine e l’effettività del diritto di difesa dell’incolpato, avente come è noto protezione costituzionale (nel combinato disposto degli articoli 24 e 97 Cost.), oltre che per la esigenza di certezza dei rapporti giuridici e delle posizioni soggettive”, con la conseguenza che il suo superamento comporterebbe l’automatica illegittimità dei provvedimenti sanzionatori impugnati (Cfr. ex multis, Consiglio di Stato sez. VI – n. 1199 del 2016; id, n. 2289 del 2019).
Tale orientamento si fonda sulla giurisprudenza del giudice ordinario formatasi in tema di sanzioni irrogate ai sensi della legge n. 689 del 1981 che, in seguito alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (27 aprile 2006, n. 9591), ha rilevato il carattere perentorio o comunque decadenziale del termine fissato dall’art. 18 dall’autorità competente per l’adozione della ordinanza-ingiunzione, tenuto conto anche della particolarità del procedimento sanzionatorio rispetto al generale paradigma del procedimento amministrativo di cui alla legge n. 241 del 1990 (in cui è pacifico, per contro, che lo spirare del termine per provvedere non determina conseguenze invalidanti sul provvedimento tardivamente adottato).
L’orientamento di cui sopra, tuttavia, non era mai stato ritenuto applicabile ai procedimenti sanzionatori di ARERA, in relazione ai quali, come detto, il termine di conclusione era considerato avere natura ordinatoria, con la conseguenza che l’inutile decorrere dello stesso poteva al più essere considerato una violazione di una norma di condotta, senza inficiare la validità dell’atto finale adottato.
Con le sentenze in oggetto, tuttavia, i Giudici di Palazzo Spada, in controtendenza rispetto alle precedenti pronunce in tema di sanzioni dell’ARERA, confermando l’orientamento espresso nella recentissima pronuncia n. 584 del 21 gennaio 2021, si sono allineati alla giurisprudenza formatasi per le altre Authorities, ritenendo “inaccettabile la oscillazione di comportamenti, in un campo così delicato per operatori economici, imprese e cittadini e in presenza della sempre più pressante domanda del bene giuridico della certezza del diritto” e sancendo così un principio di civiltà giuridica che impedirà il dilatarsi dei tempi per la conclusione di procedimenti che potevano terminare a distanza di molti anni dal fatto censurato dall’Autorità di settore.
Il Consiglio di Stato ha argomentato la propria posizione a partire dai principi sul “giusto processo” – fra cui è ricompreso anche quello di “ragionevole durata del procedimento” – sanciti della Corte EDU in relazione alla natura “afflittivo-deterrente” di tali sanzioni, sottolineando che “il processo sanzionatorio (quasi penale) è di per sé una pena”. In particolare, il principio di ragionevole durata del procedimento “assume maggior importanza nel caso di procedimenti sanzionatori di competenza delle c.d. Autorità amministrative indipendenti. In questo caso, infatti, le tradizionali garanzie del giusto procedimento si rafforzano in ragione della particolare configurazione strutturale-organizzativa delle stesse Autorithies, sottratte al circuito politico governo-parlamentare e, quindi, non sottoposte alla funzione di indirizzo politico dell’Esecutivo”.
Appaiono, pertanto, decisive le considerazioni svolte dai Giudici in relazione allo specifico valore che il tempo dell’agire amministrativo assume nell’ipotesi del potere sanzionatorio dell’ARERA funzionale al “soddisfacimento di interessi che sono ulteriori rispetto al mero rilievo dell’avvenuta infrazione”.
Da un lato, infatti, è evidente che il carattere “effettivo e dissuasivo” della sanzione è fortemente condizionato dal rispetto della tempistica procedimentale in quanto “se l’irrogazione della sanzione avvenisse a distanza di tempo dalla sua commissione e dal suo accertamento potrebbe fallire il suo obiettivo”.
Dall’altro, il Giudice Amministrativo, adottando una visione più articolata e contemporanea della nozione di interesse legittimo, rileva che nel procedimento sanzionatorio l’unico interesse dell’operatore “è quello di non essere sanzionato, ovvero quello che il procedimento si concluda tempestivamente con un provvedimento a lui favorevole”. Al contrario, il soggetto sottoposto al procedimento sanzionatorio non ha alcun interesse “a veder concluso il procedimento in qualsivoglia modo una volta che sia decorso il termine ultimo per provvedere”.
Invero, il tempo dell’agire dell’amministrazione non ha mai carattere “assoluto” in quanto (anche) l’annullamento del provvedimento illegittimo non potrà mai “spingersi sino al punto da restituire all’amministrato il tempo trascorso del procedimento, ossia “quel tempo” sprecato dall’amministrazione”.
In conclusione, il Consiglio di Stato ha rilevato che, ai fini della dichiarazione di illegittimità del provvedimento sanzionatorio adottato oltre i termini di conclusione del procedimento, “ciò che conta è l’irragionevolezza della violazione dell’autolimite che in tema di procedimenti sanzionatori, da valutarsi sempre nel contesto, non può che assumere un significato invalidante (alla luce del consueto generale rilievo dell’eccesso di potere da valutarsi ovviamente con rigore nel campo dei procedimenti sanzionatori”.
Autori di questa nota sono l’avv. Claudia Sarrocco ed il dott. Francesco Alfonso.
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