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Divieto di Fotovoltaico in Aree Agricole: prima lettura dell’Art. 5 del D.L. n. 63/2024.

A circa 15 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (n. 112 del 15 maggio scorso) del D.L. n. 63/2024 (“Disposizioni urgenti per le imprese agricole, della pesca e dell'acquacoltura, nonché per le imprese di interesse strategico nazionale” - di seguito il “DL” o “DL Agricoltura”), in attesa della sua conversione in legge, ci paiono opportune alcune riflessioni scaturite da una prima analisi, dalle numerose domande posteci dagli operatori di settore e dall’ampio dibattito seguito alla sua approvazione. 

Infatti, sebbene il DL potrebbe subire modifiche in fase di conversione (seppur con le limitazioni imposte dal principio di omogeneità, i cui canoni sono stati più volte enucleati dalla Corte Costituzionale), lo stesso è oggi vigente e pienamente efficace, applicabile secondo la sua attuale formulazione. Vale, quindi, la pena provare a capire quale sia la sua portata, così per come formulato, anche perché è improbabile che la legge di conversione possa spazzare via del tutto la disposizione o, come comprensibilmente da molti auspicato, stravolgerne gli elementi principali e perché, come vedremo, comunque, la particolare natura del decreto legge potrà essere considerata al fine di valutarne la sua legittimità anche successivamente alla conversione in legge. 

A causa della poco felice formulazione della norma oltre che della sua notevole incoerenza sistematica, è importante capire innanzitutto quale sia il suo contenuto dispositivo (o, almeno, quello più ragionevole, in applicazione dei principi che devono guidare l’interprete). 

Il contenuto della disposizione.

L’art. 5 del DL ha introdotto un nuovo comma 1-bis nell’art. 20 del D.Lgs. n. 199/2021, e cioè la norma che detta le regole per l’individuazione delle c.d. aree idonee e, al suo comma 8, individua le aree da considerare idonee nelle more della completa attuazione della disciplina (cioè fino all’adozione del previsto decreto ministeriale – di cui diverse bozze sono circolate sinora – e dei successivi provvedimenti regionali che, sulla base del primo, dovranno individuare l’assetto definitivo delle aree idonee). 

In questo contesto, la nuova disposizione sembra indubitabilmente contenere, in primo luogo e con esclusivo riferimento agli impianti fotovoltaici a terra* (significa che per le altre fonti – e altre tipologie di fotovoltaico – rimangono in vigore le previsioni come finora conosciute), un divieto generalizzato di installazione di tali impianti in aree a destinazione urbanistica agricola, salve le eccezioni previste. E ciò nonostante la norma si collochi nell’ambito di una previsione relativa alle aree idonee (e quindi dovrebbe riguarda solo quest’ultime) e non contenga una abrogazione espressa della nota disposizione contenuta nel D.Lgs. n. 387/2003 che invece, al contrario, dispone la compatibilità delle aree agricole con gli impianti alimentati da fonti rinnovabili. Quest’ultimi elementi potranno essere considerati sul piano della costituzionalità della norma, ma non ci sembra riescano a superare la lettera della disposizione, come anche interpretata alla luce delle intenzioni del legislatore (intenzioni che appaiono chiare sia da quanto emerge dal dossier parlamentare che dal dibattito pubblico che è seguito all’emanazione della norma). Deve ritenersi, quindi, che il nuovo comma 1-bis, per come scritto, comporti, con esclusivo riferimento al fotovoltaico, un’abrogazione implicita delle previgenti norme che stabilivano la compatibilità (astratta, perché soggetta alle valutazioni in concreto scaturenti dal “procedimento autorizzatorio”, anche laddove derivante dalla presentazione di una semplice PAS o DILA) dei terreni agricoli.

Invece ci sembra improbabile che possa essere ritenuto, dalla giurisprudenza o dalle amministrazioni, che la collocazione sistematica della norma, nell’ambito dell’art. 20 del D.Lgs. n. 199/2021, unitamente alla mancata espressa previsione di una deroga del disposto dell’art. 12, comma 5 del D.Lgs. n. 387/2003 (che sembrerebbe essere stato parzialmente abrogato o derogato), che prevede la compatibilità delle aree a destinazione agricola con gli impianti rinnovabili (e dunque fotovoltaici), comportino che al di fuori delle aree idonee rimanga in vigore il previgente sistema e quindi la astratta compatibilità delle aree agricole con il fotovoltaico (si deve tenere presente, tra l’altro, che per espressa previsione legislativa dello stesso art. 20, comma 7, le aree non comprese tra quelle idonee non possono essere, di per sé, ritenute “non idonee”), in quanto ciò richiederebbe una prevalenza dell’interpretazione sistematica su quella letterale e basata sulla intenzione del legislatore, che invece, ai sensi dell’art. 12 delle preleggi del codice civile, hanno precedenza sulla prima (da questo punto di vista, invece, interessanti prospettive si potrebbero aprire sul piano della costituzionalità della norma). Allo stesso modo non ci sembra che possano reggere interpretazioni della norma che facciano salvo il precedente sistema per i soli impianti realizzabili attraverso AU né quelle che, in ragione del riferimento della norma alla “installazione” (“l’installazione … in zone classificate agricole … è consentita …”) ritengono possibile “autorizzare” gli impianti, rimandando ad un successivo momento l’eventuale applicazione del divieto (ad esempio in ragione della non ammissione agli incentivi). 

La norma comporta poi, sempre con esclusivo riferimento al fotovoltaico, una modifica (questa espressa) della disciplina delle aree idonee individuate ex lege dal comma 8 dell’art. 20 (seppure transitoriamente, ma con obbligo di tenerne conto nella successiva pianificazione ad opera del Ministero e delle regioni, come specificato dal comma 1 dello stesso art. 20, nella versione emendata dal D.L. n. 13/2023 e relativa L. di conversione n. 41/2023).

Le aree agricole idonee su cui potrà ancora realizzarsi il fotovoltaico a terra. 

Ed infatti il nuovo comma 1-bis prevede una deroga al divieto appena descritto per le aree idonee di cui alle lettere a) – eliminando, tuttavia, la possibilità, in questi casi (interventi di modifica anche sostanziale), di variare l’area occupata fino al 20% – c), c-bis), c-bis.1), c-ter), nn. 2) e 3). Le aree agricole comprese nelle tipologie di aree idonee prima elencate, quindi, potranno continuare a essere utilizzate per il fotovoltaico (e godere delle semplificazioni procedimentali dovute alla idoneità dell’area). Si evita qui una descrizione di tali aree, essendo oramai le stesse di dominio comune tra gli operatori.

Le aree agricole idonee che non potranno più ospitare impianti fotovoltaici.

Invece, e qui sta l’importante modifica della disciplina sulle aree idonee, le aree agricole comprese nelle aree “idonee” di cui alle lett. b) – e cioè i terreni oggetto di bonifica – c-ter), n. 1 – aree agricole incluse nel buffer di 500 metri dalle zone a destinazione industriale – e c-quater) – aree agricole non soggette a vincolo ambientale o storico artistico né a usi civici né inclusi nel buffer di 500 metri delle aree sottoposte a tutela ambientale – non fanno eccezione al divieto generalizzato disposto dalla prima parte della norma.  Con evidente contraddizione, quindi, i terreni classificati agricoli e compresi in tali aree idonee non potranno più essere destinati alla installazione di impianti fotovoltaici.

Ora, se, nella logica del legislatore, può risultare comprensibile il divieto relativo alle aree di cui alla lett. c-quater (che, nella interpretazione prevalente datane, considera idonei i terreni che non sono sottoposti a vincolo culturale o paesaggistico), risulta invece del tutto illogica, e comunque difficilmente comprensibile, la previsione del divieto per le aree soggette a bonifica o per le aree buffer comprese nei 500 metri dalle aree industriali. In quest’ultimo caso, peraltro, non si comprende appieno la differenziazione di trattamento rispetto alla previsione di cui alla lett. c-ter, n. 2 riguardante le aree agricole incluse nel buffer di 500 metri dagli impianti industriali (che invece fanno eccezione al divieto e vengono salvate dalla scure del legislatore, come visto prima).

Altre eccezioni: le Comunità energetiche e gli impianti idonei al raggiungimento degli obiettivi del PNRR.

Inoltre, al fine di non ostacolare il raggiungimento dei traguardi e obiettivi previsti dal PNRR, è previsto che la limitazione non si applichi:

  • ai progetti che prevedano impianti fotovoltaici con moduli a terra finalizzati alla costituzione di Comunità energetiche rinnovabili (CER) – alla cui realizzazione peraltro, come noto, in particolari casi sono stati destinati fondi PNRR nell’ambito della Missione 2 – Componente 2 – Investimento 1.2); 
  • in caso di progetti attuativi delle altre misure di investimento del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che sembra possano essere riconducibili alle seguenti: 
    • al Fondo Contratti di Filiera (FCF) che prevede il sostegno a imprese, gruppi di imprese o associazioni di produttori agricoli, nonché organizzazioni di ricerca e di diffusione della conoscenza, nei settori agroalimentare, pesca e acquacoltura, silvicoltura, floricoltura e vivaismo, attraverso il miglioramento dei processi di produzione (Missione 2 – Componente 1 – Investimento 3.4) [nella misura in cui ad esempio un impianto fotovoltaico, anche tradizionale, sia realizzato dal produttore agricolo sul proprio fondo per migliorare e incrementare i processi produttivi];
    • allo sviluppo dell’agro-voltaico sperimentale (definito anche “avanzato”) (Missione 2 – Componente 2 –Investimento 1.1)
  • in caso di progetti necessari per il conseguimento degli obiettivi PNRR, tra cui potrebbero essere inclusi: 
    • la promozione delle rinnovabili per le comunità energetiche e l'autoconsumo [potendosi includere nelle eccezioni, quindi, anche le ipotesi di cui all’art. 30 del D.Lgs. n. 199/2021 e le modalità di autoconsumo a fronte del solo richiamo all’art 31, sulle comunità energetiche, della prima parte della norma];
    • l’installazione di pannelli solari fotovoltaici in sistemi agro-voltaici finalizzati a promuovere soluzioni innovative al fine di rendere compatibile la generazione energetica con le attività agricole (obiettivo del PNRR che sembra poter fugare dubbi sulla esclusione anche dall’agrivoltaico tradizionale dal divieto oltre che, in alcuni casi, anche del fotovoltaico tradizionale);
    • lo sviluppo della filiera dell'idrogeno verde, nella misura in cui impianti fotovoltaici siano posti al servizio del fabbisogno energetico elettrico di impianti che producono idrogeno.

Gli impianti agrivoltaici.

Il quadro che emerge dalle disposizioni viste sopra ci pare possa condurre, senza esitazioni, a una esclusione dal divieto dell’agrivoltaico, anche nella sua configurazione c.d. base. Ciò per diverse ragioni. 

In primo luogo perché la disposizione è riferita agli impianti fotovoltaici a terra che, come anche insegnato recentemente dal Consiglio di Stato, devono essere tenuti distinti dall’agrivoltaico. 

Poi perché, sempre sulla base della norma stessa, il richiamo agli obiettivi del PNRR – laddove, ad esempio, promuovono il fotovoltaico che consenta di realizzare soluzioni innovative per l’agricoltura – non può certo escludere l’agrivoltaico (anzi sembra proprio poter includere anche il fotovoltaico tradizionale, laddove ad esempio realizzato su parte del terreno agricolo di un imprenditore che si avvale, in qualche forma, dell’impianto, al fine di modernizzare ed incrementare la produzione agricola). 

Inoltre perché per definizione gli impianti agrivoltaici debbono essere realizzati su suolo agricolo, visto che sono mirati a coniugare la coltivazione dei campi con i benefici connessi alla produzione di energia sul campo agricolo stesso. L’esclusione dell’agrivoltaico cd. base dai terreni agricoli, a nostro avviso, è una contraddizione in termini che non può trovare cittadinanza interpretativa. 

Il regime transitorio.

Infine, il c. 2 dell’art. 5 chiarisce che «[l]e procedure abilitative, autorizzatorie o di valutazione ambientale già avviate alla data di entrata in vigore del presente decreto sono concluse ai sensi della normativa previgente».

Questo secondo comma, se, da un lato, fuga i dubbi sulla non applicabilità della norma – e quindi del divieto – ai procedimenti autorizzatori in corso (che, d’altronde, si sarebbe comunque potuta affermare sulla base dei principi generali), dall’altro lato, ha destato preoccupazioni nella misura in cui non prevede espressamente che siano esclusi dal divieto eventuali progetti che non abbiano avviato il procedimento mediante la presentazione di una istanza di VIA, di AU o una PAS o DILA, ma siano ancora nella fase preliminare durante la quale si sono semplicemente acquisiti i diritti reali sui terreni o si sia chiesta la STMG. In mancanza di una previsione espressa – che potrà essere inserita nella fase della conversione – pare difficile che queste tipologie possano essere fatte rientrare nelle ipotesi di “procedure abilitative già avviate”. Tuttavia certamente tale opzione ermeneutica potrebbe essere tentata, soprattutto in quei casi in cui l’iniziale investimento si ponga in una linea di continuità con il successivo sviluppo concreto del progetto (cioè per quei casi in cui dopo la stipula dei contratti sui diritti reali o la presentazione della richiesta di STMG si siano fatti passi avanti nello sviluppo del progetto o comunque contratti e istanza siano recentissimi). 

Alcune prime valutazioni sulla costituzionalità della norma (come sopra interpretata).

Ricostruita come sopra quella che ci sembra la più lineare e razionale interpretazione dell’impianto della norma – al di là del giudizio, non certo positivo da parte di chi scrive, che della stessa si possa dare – vogliamo soffermarci brevemente sui problemi che la norma, così come scritta (e interpretata), potrà sollevare.

Ci sembra che la disposizione in parola presenti forti criticità sul piano della sua tenuta costituzionale. E ciò in primo luogo sotto il profilo del mancato rispetto dell’art. 77 della Costituzione che riserva al Governo il potere di emanare decreti legge in “casi straordinari di necessità e urgenza”. Senza poter condurre qui una disamina della giurisprudenza costituzionale che si è soffermata sulla portata di tali essenziali requisiti, non sembra assolutamente che gli stessi possano, nel caso di specie ricorrere. 

Non pare sostenibile, infatti, che vi sia una “straordinaria necessità e urgenza di contrastare il fenomeno del consumo del suolo a vocazione agricola” come affermato nelle premesse del decreto. E ciò per varie ragioni delle quali si elencano di seguito le principali.

È noto come i dati ufficiali riportino che il consumo di suolo agricolo causato dalla realizzazione di impianti fotovoltaici è del tutto esiguo. 

A ciò si aggiunga che l’autorizzazione di impianto fotovoltaici è tutt’altro che un processo veloce, soprattutto per gli impianti di grossa taglia, per i quali, quindi si potrebbe porre il problema che il Governo ha preteso di arginare con l’adozione del DL.

Inoltre, la norma arriva in un momento in cui dovrebbe essere imminente la conclusione dell’iter di emanazione del DM sulle aree idonee – peraltro di responsabilità del Governo – e il conseguente completamento del quadro successivo ad opera dei provvedimenti attuativi regionali. Anziché, quindi, agire con la decretazione d’urgenza, ben si sarebbe potuto accelerare l’implementazione del sistema delle aree idonee. 

Anche in connessione a quest’ultimo profilo, pare di dubbia costituzionalità l’introduzione di un divieto indiscriminato di installazione sulle aree agricole (salve le eccezioni suvviste), senza considerare i terreni agricoli inutilizzati. Così concepita quindi la norma produce un effetto perverso perché vieta la realizzazione del fotovoltaico – e, cosa altrettanto problematica, solo di esso – su terreni che, sebbene individuati dagli strumenti pianificatori come suolo agricolo, in realtà sono abbandonati e non sfruttati a tal fine. Si tratta di un profilo, quest’ultimo, che sembra problematico anche dal punto di vista della compatibilità con l’ordinamento comunitario. 

Vi sono, inoltre, criticità anche in relazione alla poca coerenza interna della norma. Abbiamo accennato prima, ad esempio, come risulti difficile cogliere la differenza di trattamento tra l’eccezione al divieto per le aree idonee ex art. 20, comma 8, lett. c-ter, n. 1 (buffer di 500 metri dalle aree a destinazione industriale), compreso nel divieto, e le aree di cui al n. 2 della stessa lettera (buffer di 500 metri dagli impianti industriali) che invece configurano un’eccezione al divieto.

                                                                                     *

Quanto sopra rappresenta un primo quadro delle svariate problematiche interpretative e di tenuta costituzionale che la norma pone. Una più compiuta disamina può essere rimandata dopo la conversione in legge, quando la norma avrà trovato un assetto definitivo, tenendo in mente, comunque, che, in ogni caso, alcuni dei problemi di costituzionalità prima enucleati potranno permanere anche dopo la conversione, in quanto l’iter seguito dalla legge di conversione è comunque diverso da quello della legge ordinaria e quindi deve essere sorretto dalla sussistenza dei requisiti per la decretazione d’urgenza. 

L’operazione posta in piedi, comunque, risulta criticabile in ogni caso in quanto, salvo stravolgimenti dell’impianto finale – che paiono poco probabili – comporterà un sicuro rallentamento del settore almeno sino a quando si potrà ottenere un soddisfacente intervento della Corte Costituzionale.

Sebbene poco felice, ci pare che il rimando, contenuto nel nuovo comma 1-bis, all’art. 6-bis, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 28/2011, il quale disciplina gli interventi di modifica sugli impianti fotovoltaici a terra che possono essere eseguiti mediante semplice DILA, debba essere inteso alla sola prima parte della lettera e cioè alle parole “impianti fotovoltaici a terra”, intendendosi a quest’ultimi delimitare il contenuto dispositivo della previsione. Diversamente il rimando apparirebbe privo di significato. Una tecnica legislativa lineare e chiara, anziché operare il richiamo all’art. 6-bis, avrebbe potuto semplicemente indicare gli impianti fotovoltaici a terra quali oggetto della previsione, tanto più che la norma richiamata non ha un contenuto definitorio. 

                                                                                     *

Autori di questa nota sono gli avvocati Massimo Colicchia, Chiara Berra e Maria Consolata Bianchini.

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